Q uesto mestiere nasce dall’esigenza primaria dell’uomo di procurarsi materie prime dalla natura, per creare con fantasia ed abilità, oggetti di uso quotidiano. Le zone umide, le stazioni paludose e i canali naturali di deflusso delle acque piovane, soprattutto nelle zone del leccese e del tarantino, offrivano al cosiddetto “cistaru” la materia prima per svolgere la propria attività: “offrivano” perché attualmente gli artigiani che si dedicano alla raccolta e alla lavorazione sono pochissimi, ma anche perché queste zone state sottoposte ad interventi di bonifica idraulica e fondiaria, nonché a misure di salvaguardia e tutela di questo tipo di habitat, contribuendo alla diminuzione della diffusione di materiale a disposizione.
La lavorazione ad intreccio non si serve solo del giunco ma anche di altre fibre vegetali, come la canna palustre e giovani rami di ulivo.
Di giunco, più flessuoso della canna, sono le fiscelle usate per deporre la ricotta fresca (fische); le giuncate, contenitori a forma di stuoia arrotolata utilizzati per riporre l’omonimo formaggio rappreso e non salato; le borse per contenere la spesa (sporte). La lavorazione di questi manufatti era riservata prevalentemente alle donne, non solo perché richiedeva maggiore pazienza e precisione, ma anche meno forza; agli uomini, invece, oltre alla raccolta e al trattamento della pianta, era assegnato il compito di intrecciare la canna palustre, fibra poco gentile alla quale le mani forti dell’uomo chiedevano di non spezzarsi ma solo di flettersi per creare l’intreccio. Di canna, precedentemente essiccata e tagliata a strisce, erano i panieri (panari), con un solo manico o le ceste (ciste, panare o caniscie), alte e rotonde, di diverse dimensioni a seconda dell’uso, per il trasporto di frutta e ortaggi, uva, mosto, olive, foglie di tabacco, pane. In particolare, la canna palustre si utilizza per le pareti dei panieri, mentre la base e gli orli superiore e inferiore, sono in teneri rami d’ulivo. Nei centri marinari (Castro, Gallipoli, Otranto), il giunco si intesseva anche per creare le nasse, dalla forma a campana, con l’interno ad imbuto rovesciato, utilizzate dai pescatori locali prevalentemente per la cattura di crostacei.
Attualmente, questa forma di lavorazione artigianale, è presente in molte abitazioni, ma decontestualizzata e privata dell’originaria destinazione d’uso; può, quindi, accadere di utilizzare questi antichi contenitori, legati ad un tipo di società semplice e contadina, per contenere oggetti appartenenti allo stile di vita contemporaneo: biancheria, giocattoli, riviste. Solo in alcune zone della campagna salentina, questi manufatti conservano la loro funzione primigenia: non è raro vedere stuoie fatte con canne (cannizzi), su cui vengono adagiati fichi, pomodori o altri ortaggi tagliati a metà, affinché il sole li secchi. Solitamente il colore della fibra viene lasciato naturale, sia perché già appagante, sia perché giunco e canna, difficilmente si lasciano intaccare dalle tinte, essendo fibre lisce, non porose.